C’è un filo rosso che unisce i grandi regimi del Novecento e i leader populisti contemporanei: tutti hanno costruito il proprio potere evocando un nemico: concreto o immaginario, reale o inventato.
Il congegno del nemico è una costruzione comunicativa tipica, un dispositivo narrativo che consente di legittimare e giustificare scelte autoritarie, mobilitare le masse, creare identità collettive e mantenere coesione sociale. In termini di marketing, è la reason why del brand politico populista: senza una minaccia non c’è promessa di protezione, senza “loro” non esiste un “noi”.
Radici storiche: dal nemico interno a quello assoluto
Nel ‘900 i regimi perfezionarono questa tecnica. Mussolini ebbe bisogno dei socialisti come minaccia permanente per giustificare le squadracce e il controllo della piazza. Mentre Hitler s’inventò il nemico assoluto, gli ebrei, da demonizzare come causa di ogni male: dalla crisi economica alla sconfitta militare, dalla disoccupazione al decadimento morale.
Anche la comunicazione si adeguò: manifesti semplici, immagini caricaturali, slogan immediati. Ogni mezzo era buono per fissare nell’immaginario collettivo il volto del nemico.
In Sud America, Pinochet e le dittature militari hanno trovato nel comunismo l’alibi perfetto per colpi di Stato sanguinosi. Bastava evocare lo spettro di Cuba o dell’Unione Sovietica per far sembrare legittimo ogni repressione. La radio e i giornali alimentavano l’ossessione del “pericolo rosso”.
Durante la Guerra fredda l’anticomunismo è stato il collante di governi autoritari, ma anche di democrazie che temevano il contagio socialista. In questo caso la comunicazione si trasformò in marketing geopolitico: campagne di propaganda, film, costruzione di un mondo diviso in due brand.
La nuova destra globale: il meccanismo sociologico del nemico
Dal punto di vista sociologico, la dinamica è semplice e potente. Una comunità si rafforza quando ha un nemico contro cui compattarsi. È il principio del capro espiatorio, che serve a canalizzare frustrazioni e paure collettive. Il nemico permette di costruire un’identità negativa: non sappiamo bene chi siamo, ma sappiamo con certezza chi non siamo. Il “noi” nasce solo perché esiste un “loro”.
La comunicazione politica traduce questo meccanismo in simboli, slogan, immagini. Funziona come una eterna campagna elettorale: non si veicola il programma del partito o cosa si vuole realmente fare per il popolo, ma l’appartenenza a un gruppo che si oppone a un avversario.
Se il Novecento offriva nemici chiari, la destra contemporanea ha dovuto aggiornare il catalogo:
- Trump ha costruito il suo storytelling attorno a un pantheon di avversari: i migranti, il “deep state”, la Cina, i liberal progressisti accusati di distruggere la “vera America”. Ogni tweet diventa una micro-campagna virale, con un nemico da colpire: praticamente governa con i tweet.
- Meloni ha puntato su una narrazione semplice: l’Italia è assediata. Da chi? Dall’Unione Europea che ci “commissaria”, dai migranti che minacciano la nostra identità, dalla “sinistra ideologica” che imporrebbe il pensiero unico, il relativismo e il permessivismo di pensiero e azioni.
- Orbán ha scelto un volto preciso: George Soros, trasformato in emblema del globalismo ebraico che minerebbe la sovranità ungherese. In termini pubblicitari, Soros è un marchio concorrente.
- Putin incarna la stessa strategia: la Russia resiste a un Occidente “decadente e degenerato” che vuole distruggere i suoi valori. Qui la narrazione è epica, addirittura eroica, salvifica, leggendaria.
Perché sempre contro la sinistra sociale?
Un punto ricorrente è la centralità della sinistra come nemico preferito. Anche se oggi la sinistra non ha più radici popolari ma solo intellettuali, la destra continua a brandirla come spettro.
La risposta è duplice. Da un lato, la sinistra storicamente incarna l’idea di uguaglianza e redistribuzione: minaccia l’ordine sociale, i privilegi e le gerarchie che la destra difende. Dall’altro, la caricatura della sinistra è perfetta per spaventare: “i comunisti vogliono tassarti la casa; vogliono la famiglia aperta; vogliono un mondo integrato con i migranti; giustificano sessualità contro natura”
In termini comunicativi, la sinistra funziona come un marchio fantasma: non attrae più a sé, ma è ancora utilissima ai populisti come competitor immaginario contro cui posizionarsi.
Tecniche di propaganda ricorrenti
Nonostante i cambiamenti storici e tecnologici, le tecniche di propaganda della destra hanno una sorprendente continuità negli anni:
- Semplificazione: slogan chiari, facili da ricordare. “America First”, “Prima gli italiani”.
- Dicotomica: il mondo diviso in due blocchi, bene contro male, noi contro loro.
- Uso dei media: occupazione militare dei Media più importanti.
- Vittimismo: i leader al potere si presentano come assediati. È la strategia del brand underdog, anche se sei leader di mercato, conviene sembrare outsider che combatte giganti più forti di te.
Gli aspetti psicosociali contemporanei
Il nostro tempo è un terreno fertilissimo per la politica del nemico. Globalizzazione, crisi climatica, rivoluzione tecnologica, pandemie: tutto genera insicurezza. E l’insicurezza che non si può combattere richiede un nemico. La psicologia individuale si intreccia con quella collettiva: il nemico offre una valvola di sfogo, una narrazione rassicurante… ma soprattutto, libera dalla responsabilità personale: se c’è un colpevole esterno non devo cambiare io, devo indicarlo agli altri e combatterlo.
La destra intercetta questo bisogno offrendo risposte semplici a problemi complessi. Non servono programmi articolati, basta indicare un bersaglio. La logica tribale, amplificata dai social network, rafforza la polarizzazione: noi contro loro, bolla contro bolla, hashtag contro hashtag.
La bussola del potere
Tutto questo dimostra che il nemico non è un episodio della politica di destra, ma la sua bussola, “…senza nemico, la cultura autoritaria e populista non saprebbe come raccontarsi”. Non possono parlare di futuro perché il loro consenso si nutre soprattutto di paure e rancori passati.
La comunicazione populista è, in fondo, una campagna pubblicitaria permanente: segmenta il target, individua un problema, offre un colpevole e propone un leader come soluzione. Non è un progetto politico, ma un format comunicativo, ecco perché sembra che siano sempre sotto elezioni.
D’altra parte la sinistra, oggi, non riesce a costruire un’identità alternativa altrettanto forte. In termini di marketing, è come se la sinistra non avesse un brand, ma solo un archivio di valori. A parte la divisione, manca la capacità di raccontarsi, la costruzione di una promessa chiara e desiderabile. Questo lascia campo libero alla retorica del nemico che indica gli obiettivi da odiare, contrastare.
Quindi, forse la vera sfida per il futuro non è smascherare la menzogna dei nemici inventati, ma costruire una politica che non abbia bisogno di nemici per esistere. Una politica che non viva di paura, ma di possibilità. Perché se il nemico rimane eterno, il futuro resta sempre ostaggio del passato.
Per chi volesse andare oltre:
- Dal Lago, A. (2017). Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra. Raffaello Cortina.
- Negri, F., Ceron, A., Decadri, S. (2023). Populismo in rete. Un’analisi della comunicazione dei politici italiani. Carocci.
- Zulianello, M., Guasti, P. (a cura di) (2024). Capire il populismo. UTET.
- Tranfaglia, N. (2010). Populismo autoritario. Dalai Editore.
- Peruffo, E. (2024). La costruzione visuale del nemico nella propaganda iconografica della RSI (1943-45). Università di Padova.