Andrea Manzi, fummo segni di scrittura astrusa e di lingua muta

Giornalista, saggista e autore teatrale, ha al suo attivo cinque libri di poesie con prefazioni e postfazioni di Maurizio Cucchi, Elio Pecora e Giuseppe Amoroso. Dal suo poemetto in quattordici stazioni "Castel Volturno, il ghetto", dedicato a Miriam Makeba, fu tratto lo spettacolo "Black out" interpretato da Mariano Rigillo e Peppe Lanzetta, per la regia di Pasquale De Cristofaro

Tempo di lettura 3 minuti
Andrea Manzi, giornalista, autore di cinque libri di poesie e autore teatrale

Andrea Manzi, giornalista, redattore capo e direttore di vari quotidiani, ha avuto frequenti incursioni non solo nella narrativa e nella saggistica ma anche nella poesia e nel teatro: «Ama muoversi nelle più diverse situazioni tematiche – scrive di lui Maurizio Cucchi – e praticare anche formule diverse di scrittura, conservando la sempre stessa elevata, febbrile temperatura espressiva». È autore delle raccolte poetiche (d)io@parole.com (Perrone, 2008), Morire in gola (Manni, 2009, prefazione di Maurizio Cucchi), occhi indossati (Edizioni L’Arca Felice, 2010, prefazione di Giuseppe Amoroso), l’orma che scavo (Oèdipus, 2013, postfazione di Elio Pecora), Se diventi ricordo ti perdo (Campanotto, 2016), Insonnia (Castelvecchi, 2022). Il suo poemetto in quattordici stazioni Castel Volturno, il ghetto, fu portato in scena nel 2011 con il titolo Black out, per l’interpretazione di Mariano Rigillo e Peppe Lanzetta e la regia di Pasquale De Cristofaro. Già nel 1984 si è misurato con la poesia in teatro scrivendo Dino Campana poeta, monologo andato in scena al Festival Città Spettacolo (regia di Lorenzo Cicero), selezionato dal direttore della rassegna, Ugo Gregoretti.

Da Castel Volturno, Il ghetto (VII quadro)

[…]

a miriam makeba

 

la poesia lascia il cielo

l’immortalità stanca

il tempo dell’uomo minore

raschia le stelle

a castel volturno

 

il paradiso nei fossi cespugliosi

è tana pupilla amica

gorgoglio d’acqua

è desiderio di una scialuppa

questo cielo che non c’è

 

il grido dello stormo

corre nell’aria e denuncia schiavitù

gli uccelli non cantano

fremono –

sono l’unica avanguardia

e spiumano idee

imporporano parole

messaggi solitari

dell’antica rivolta di brecht

che rivive

(da Morire in gola, Manni, 2009)

 

Inversi percorsi

le stazioni della nostra via crucis? Tante: facemmo inversi percorsi

dal golgota- (era finita: ricordi!)

fece notte tremò l’ora X: schiodammo i corpi

dalla croce e traslocammo al di qua:

al di là c’era la nuvola- lì dietro dio è bello

e bianco sempre (e più bianco non si può)

è il dio delle fate e delle réclame:

noi ne cercammo altri- il respiro mancò

l’ultimo fiato ci tremò in gola

giù dalla croce fu brutto:

con i piedi in terra il mondo è scemo

e poi schiodarsi calarsi senza appoggio

che faticaccia:–

i corpi vicini (dicesti: due corpi su una stessa croce:

dividiamolo il dolore al cinquanta per cento)

io feci cristo tu la mia ladrona

transazione estrema e tornò il conto

puntammo al sinedrio: rividi pilato senza testa

rifaceva giorno ad ogni passo e andavamo indietro

lo sguardo in avanti alla croce vuota

dal golgota al getsemani che via lunga:

e poi farla a ritroso!- la infilammo incerti

noi cacciatori di paradisi sconci

cercammo un’alcova: disadorna era e fredda

un albergo negato di giudea

il letto unto il bacile una stuoia

la luce abbagliava e perdemmo sangue

dai piedi scalzi (“che dolore” sussurravi):

la croce vuota: s’aprì altro vuoto

non c’era cristo e nemmeno noi- (“non torneremo in croce, vero?”

dicesti stringendomi la mano)

il rebus si complicò: amore-non amore

allora bevemmo e avvicinammo i corpi:- al buio

(da l’orma che scavo, Oèdipus, 2013)

 

se diventi ricordo ti perdo

la luce che rotola

inseguita dal tempo dei rigori

ti sfiora e gemi: saltano

i galoppi dei tramonti

di te il dolore scende nelle cose

e risale nei sorrisi

sei triste vestita di memoria

io ti agghindo di foglie nere

raccolte nei mari delle secche

somigli alla morte tu che sei la vita

hai fermacapelli di bruchi e smorfie di rimmel

rivivi se solo penso all’atteso ritorno

(da Se diventi ricordo ti perdo, Campanotto, 2016)

 

mancano l’ancora

e i cavi d’ormeggio

niente bitta

il vento libera

i soffi dall’otre di eolo

il mare ribolle

l’immenso è attesa

e ristagna nel secchio frenetico

che vomita in mare

l’acqua rabbiosa

 

sgottare è il destino

(da Insonnia, Castelvecchi, 2022)

 

L’amore esitante

sgomitammo al crocevia e fu un attimo

puntavamo a smarcarci

io dalla vecchiaia e tu da te sola

sprigionammo energia residua

ma non muovemmo un passo

indossavamo calzari di piombo

la mente volgeva in avanti

e la terra era rugosa e spaccata

muoversi era scalare il golgota

ci guardammo di misura

pensando di essere sapienti

e la saggezza ci bloccò –

a non sfidare le penombre ostili

dopo i sessant’anni si è saggi

ce lo dicemmo con gli occhi

sfiorandoci di labbra

evocammo wittgenstein

ma in quel punto al crocevia

non eravamo mai stati

e su di noi soffiava un’aria ostile

in difetto di ragione

aria affilata pungente e calda

entrammo in una favola poetante

ascoltavamo (fermi) frottole ritmate –

al crocevia non venne l’amore

slittavano i desideri verso il basso

fermi noi due sempre fermi e in piedi

malinconicamente fermi e rigidi

con i talloni induriti e stanchi

né avanti né indietro

come due lettere dell’alfabeto nel vuoto

sospese nel vento che diventò freddo

soli senza azione e senza più parole

e la vita compressa dentro

e il desiderio di averla una vita

un testo eravamo di sole parole oscure

fummo segni di scrittura astrusa e di lingua muta

racconto implicito di negazioni presunte

smorta catena significante

composta da noi due soli

doppio tema mitico dentro sguardi parlanti

 

Previous Story

Guido Maria Grillo, non smarrire mai il tuo cuore / Per inseguire tutte quelle vanità