Andrea Manzi, giornalista, redattore capo e direttore di vari quotidiani, ha avuto frequenti incursioni non solo nella narrativa e nella saggistica ma anche nella poesia e nel teatro: «Ama muoversi nelle più diverse situazioni tematiche – scrive di lui Maurizio Cucchi – e praticare anche formule diverse di scrittura, conservando la sempre stessa elevata, febbrile temperatura espressiva». È autore delle raccolte poetiche (d)io@parole.com (Perrone, 2008), Morire in gola (Manni, 2009, prefazione di Maurizio Cucchi), occhi indossati (Edizioni L’Arca Felice, 2010, prefazione di Giuseppe Amoroso), l’orma che scavo (Oèdipus, 2013, postfazione di Elio Pecora), Se diventi ricordo ti perdo (Campanotto, 2016), Insonnia (Castelvecchi, 2022). Il suo poemetto in quattordici stazioni Castel Volturno, il ghetto, fu portato in scena nel 2011 con il titolo Black out, per l’interpretazione di Mariano Rigillo e Peppe Lanzetta e la regia di Pasquale De Cristofaro. Già nel 1984 si è misurato con la poesia in teatro scrivendo Dino Campana poeta, monologo andato in scena al Festival Città Spettacolo (regia di Lorenzo Cicero), selezionato dal direttore della rassegna, Ugo Gregoretti.
Da Castel Volturno, Il ghetto (VII quadro)
[…]
a miriam makeba
la poesia lascia il cielo
l’immortalità stanca
il tempo dell’uomo minore
raschia le stelle
a castel volturno
il paradiso nei fossi cespugliosi
è tana pupilla amica
gorgoglio d’acqua
è desiderio di una scialuppa
questo cielo che non c’è
il grido dello stormo
corre nell’aria e denuncia schiavitù
gli uccelli non cantano
fremono –
sono l’unica avanguardia
e spiumano idee
imporporano parole
messaggi solitari
dell’antica rivolta di brecht
che rivive
(da Morire in gola, Manni, 2009)
Inversi percorsi
le stazioni della nostra via crucis? Tante: facemmo inversi percorsi
dal golgota- (era finita: ricordi!)
fece notte tremò l’ora X: schiodammo i corpi
dalla croce e traslocammo al di qua:
al di là c’era la nuvola- lì dietro dio è bello
e bianco sempre (e più bianco non si può)
è il dio delle fate e delle réclame:
noi ne cercammo altri- il respiro mancò
l’ultimo fiato ci tremò in gola
giù dalla croce fu brutto:
con i piedi in terra il mondo è scemo
e poi schiodarsi calarsi senza appoggio
che faticaccia:–
i corpi vicini (dicesti: due corpi su una stessa croce:
dividiamolo il dolore al cinquanta per cento)
io feci cristo tu la mia ladrona
transazione estrema e tornò il conto
puntammo al sinedrio: rividi pilato senza testa
rifaceva giorno ad ogni passo e andavamo indietro
lo sguardo in avanti alla croce vuota
dal golgota al getsemani che via lunga:
e poi farla a ritroso!- la infilammo incerti
noi cacciatori di paradisi sconci
cercammo un’alcova: disadorna era e fredda
un albergo negato di giudea
il letto unto il bacile una stuoia
la luce abbagliava e perdemmo sangue
dai piedi scalzi (“che dolore” sussurravi):
la croce vuota: s’aprì altro vuoto
non c’era cristo e nemmeno noi- (“non torneremo in croce, vero?”
dicesti stringendomi la mano)
il rebus si complicò: amore-non amore
allora bevemmo e avvicinammo i corpi:- al buio
(da l’orma che scavo, Oèdipus, 2013)
se diventi ricordo ti perdo
la luce che rotola
inseguita dal tempo dei rigori
ti sfiora e gemi: saltano
i galoppi dei tramonti
di te il dolore scende nelle cose
e risale nei sorrisi
sei triste vestita di memoria
io ti agghindo di foglie nere
raccolte nei mari delle secche
somigli alla morte tu che sei la vita
hai fermacapelli di bruchi e smorfie di rimmel
rivivi se solo penso all’atteso ritorno
(da Se diventi ricordo ti perdo, Campanotto, 2016)
mancano l’ancora
e i cavi d’ormeggio
niente bitta
il vento libera
i soffi dall’otre di eolo
il mare ribolle
l’immenso è attesa
e ristagna nel secchio frenetico
che vomita in mare
l’acqua rabbiosa
sgottare è il destino
(da Insonnia, Castelvecchi, 2022)
L’amore esitante
sgomitammo al crocevia e fu un attimo
puntavamo a smarcarci
io dalla vecchiaia e tu da te sola
sprigionammo energia residua
ma non muovemmo un passo
indossavamo calzari di piombo
la mente volgeva in avanti
e la terra era rugosa e spaccata
muoversi era scalare il golgota
ci guardammo di misura
pensando di essere sapienti
e la saggezza ci bloccò –
a non sfidare le penombre ostili
dopo i sessant’anni si è saggi
ce lo dicemmo con gli occhi
sfiorandoci di labbra
evocammo wittgenstein
ma in quel punto al crocevia
non eravamo mai stati
e su di noi soffiava un’aria ostile
in difetto di ragione
aria affilata pungente e calda
entrammo in una favola poetante
ascoltavamo (fermi) frottole ritmate –
al crocevia non venne l’amore
slittavano i desideri verso il basso
fermi noi due sempre fermi e in piedi
malinconicamente fermi e rigidi
con i talloni induriti e stanchi
né avanti né indietro
come due lettere dell’alfabeto nel vuoto
sospese nel vento che diventò freddo
soli senza azione e senza più parole
e la vita compressa dentro
e il desiderio di averla una vita
un testo eravamo di sole parole oscure
fummo segni di scrittura astrusa e di lingua muta
racconto implicito di negazioni presunte
smorta catena significante
composta da noi due soli
doppio tema mitico dentro sguardi parlanti