Cronaca tragicomica di un matrimonio tossico

Dopo 130 giorni inaugurati con un saluto fascista e proseguiti con annunci, proclami, tagli, minacce, tweet paranoici e conferenze stampa ridicole, si conclude la brevissima, frastornante, nociva e inutile esperienza di governo dell'uomo più ricco del mondo: Elon Musk.

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Dopo 130 giorni inaugurati con un saluto fascista e proseguiti con annunci, proclami, tagli, minacce, tweet paranoici e conferenze stampa ridicole, si conclude la brevissima, frastornante, nociva e inutile esperienza di governo dell’uomo più ricco del mondo: Elon Musk.

Cosa resta al mondo di questa esperienza tragicomica? Che se vuoi governare uno Stato non puoi glissare sui problemi sociali, tagliare il welfare come se fosse un dipartimento inutile e ottimizzare la democrazia con un upgrade software. E, soprattutto, non puoi trattare milioni di cittadini come dipendenti recalcitranti da motivare con un bel PowerPoint motivazionale.

Ma il finale di stagione regala un colpo di scena (in vero atteso da molti): la rottura definitiva con Trump, ora suo accusatore: è finita tra urla, smentite e veleno. Musk accusa Trump di essere “un bullo paranoico ossessionato dal potere“. Trump risponde definendolo “un tossico instabile che sniffa più che ragiona“. Il teatrino, degno di un talk show trash, non nasconde il dato sociopolitico: è fallito il sogno dell’azienda-Stato gestita da miliardari. E meno male.

I 130 giorni più ridicoli del 2025; Musk aveva promesso tagli, efficienza e progresso. Ha portato confusione, caos e un welfare fatto a pezzi. Ha trattato lo Stato come una startup: ha licenziato funzionari come se fossero manager inefficienti, ha ridotto l’assistenza ai disabili e ha cancellato progetti sociali non redditizi (quando mai un programma sociale è stato redditizio?).

Insomma, si è scontrato con una realtà a lui sconosciuta: lo Stato non produce dividendi, ma equilibrio sociale… eppure, come dicono in USA, “it’s only Sociology 101”, noi meno tecno diciamo “è buonsenso terra terra”, insomma è l’ABC della sociologia: lo stato non è un’azienda, non deve fare utili ma soddisfare i bisogni dei cittadini.

Tutto questo l’ha fatto con la benedizione iniziale di Trump, che aveva spalancato le porte al suo “alleato innovatore”, salvo poi scaricarlo pubblicamente, quando il consenso popolare di entrambi è crollato sotto i colpi della realtà. “Elon è troppo instabile anche per me“, ha detto Trump, cercando disperatamente di ripulire la propria immagine, tanto traballante che negli States ora anche tra i repubblicani c’è chi lo chiama boiled chicken e questo lo fa incazzare a morte e diventare verde di rabbia, perché corrisponde più o meno al nostro Fifone, tendente al cacasotto.

Le aziende cercano profitti, lo Stato persegue equilibrio sociale. Le prime sono escludenti, il secondo deve essere inclusivo. Se Tesla può ignorare chi studia filosofia, lo Stato ha il dovere di garantire dignità anche a chi si occupa di umanesimo. Perché la cultura è bene comune, non un lusso opzionale…e poi perché l’istruzione è un diritto imprescindibile, non un investimento a ROI.

Musk, inebriato dalla sua fede nella Performance Review, ha applicato logiche aziendali ai servizi pubblici. Il risultato? La macchina statale si è piantata. E mentre lui twittava aforismi da guru in crisi mistica, i cittadini facevano i conti con ospedali deserti, scuole in rovina e sussidi tagliati.

Trump, dal canto suo, alternava dazi e minacce internazionali come se stesse giocando a risiko ubriachi: ultimatum alla Cina, poi marce indietro. Attacchi a Bruxelles, poi pacche sulle spalle. Due settimane a Putin, poi -vabbè- altre due, facciamo quattro. L’America First diventa America Confused.

Ipocrisie a orologeria: Il teatrino esplode con accuse incrociate

Giugno 2025 ha segnato il punto di rottura. Trump ha accusato Musk di essere “completamente fuori controllo, inadatto a qualunque carica pubblica“… solo lui non lo sapeva? Ha fatto filtrare alla stampa gli eccessi dell’ex alleato: microdosi di LSD, cocktail di psicofarmaci e notti in bianco passate a progettare missioni su Marte mentre il Paese andava a rotoli. Musk ha risposto con un meme e poi con un’intervista devastante: “Trump è un narcisista paranoico che crede di essere sopra la legge, sopra il popolo, sopra ogni regola. Pensa di essere un imperatore romano in pensione. Ma è solo un venditore di illusioni in saldo“.

Vale la pena fermarsi un attimo a riflettere: ma tutto ciò che Musk e Trump oggi si rinfacciano -droghe, deliri di onnipotenza, instabilità, paranoia- non era tra loro già noto prima delle elezioni? E allora viene da chiedersi: perché si sono alleati ed hanno condiviso potere e strategie?

La risposta è brutale e semplice: per convenienza, è stato solo marketing di potere. Si sono usati a vicenda. Musk aveva bisogno del potere istituzionale, Trump dell’aura da genio tecnologico. Si sono spalleggiati finché l’opinione pubblica ha retto, poi hanno buttato la maschera. Nessuno dei due ha mai creduto davvero nell’altro; oggi, ognuno recita il ruolo della vittima tradita, sperando di salvarsi la reputazione infangando l’ex sodale: di certo Musk ne esce con le ossa rotte: ci ha rimesso circa $ 300 mln per la campagna, $ 24 mld di capitale personale abbattuto in Borsa, Trump ha tolto i contributi alle auto elettriche ed ha enormi problemi personali in Tesla: gli investitori istituzionali (Vanguard, BlackRock, T. Rowe Price…) iniziano a scaricare quote di Tesla. Il fondo pensione norvegese, uno dei più grandi del mondo, attribuisce a Musk “una responsabilità morale, non può continuare a fare il CEO”.

La politica (in democrazia) non è una Tecnocrazia

Il paradosso dell’uomo solo al comando, funziona solo nei film e anche lì non sempre. Musk ha cercato di imporre la sua visione tecnocratica come verità assoluta, senza passare per il confronto politico. Ha sputato sul Parlamento, ignorato i processi deliberativi e poi, quando la Camera ha approvato una manovra finanziaria espansiva che contraddiceva la sua ortodossia da falco fiscale ha alzato le mani: perché semplicemente non aveva compreso il suo ruolo istituzionale in una democrazia, che per quanto malaticcia, era pur sempre democrazia, con pesi e contrappesi.

Quando l’uomo solo al comando va in corto circuito. Il fallimento non è solo personale, ma sociologico. Il potere pubblico non è ottimizzabile. È negoziazione, equilibrio, inclusione. Serve saggezza, non egomania. La democrazia è imperfetta, lenta, spesso anche caotica. Ma è l’unico sistema che permette di rappresentare davvero tutti. E Musk, abituato a risposte binarie, non ha capito che in politica il bianco e nero non esistono: ci sono tutte le tonalità di grigio, c’è il compromesso e l’umanità.

Torni alle astronavi, Musk…

Lasci stare lo Stato, non è cosa sua; si dedichi ai suoi stimolanti, ai razzi e alle auto elettriche. Faccia quello che le riesce meglio, sempre che i suoi soci che tengono in piedi Tesla glielo consentano ancora: questi investitori, che rappresentano circa 7,9 milioni di azioni, negli ultimi mesi hanno espresso serie preoccupazioni riguardo al calo delle vendite globali di veicoli, ai 5 lanci di razzi Starship su nove falliti in tre anni, al trattamento incivile dei suoi lavoratori (se ne sono accorti!!!) e soprattutto al crollo della reputation aziendale ormai di portata mondiale.

La rottura tra Musk e Trump ha forse un merito: ci mostra con chiarezza cosa succede quando Un (o due) egocentrico tenta di piegare la società alle proprie paranoie. Ed ora che la manovra finanziaria espansiva è passata in Senato alla faccia di Musk (e Trump), e che il deficit è stato ampliato per tentare di ricucire il tessuto sociale e i danni fatti, il sipario può finalmente calare.

Che torni alle sue astronavi, Musk e porti con sé anche Trump su Marte. Qui abbiamo bisogno d’altro: non leadership da fiera, ma lucidità, visione ed equilibrio. In una parola, Saggezza.

E chissà che questa lezione – aspra ma salutare – non serva anche a noi Italiani. Perché da queste parti, quando uno inizia a sentirsi un padreterno… sappiamo già come va a finire.

 

Carlo De Sio

Laureato in Scienze Politiche ed Economiche, con Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999.
Fa parte di un gruppo di specialisti per la revisione di testi generati dall’I.A. e partecipa nel Deep Web a un gruppo di approfondimento che ha come focus notizie e valutazioni sulle crisi politiche in atto.

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