Il viaggio a cui fa riferimento il titolo della nuova raccolta di poesie di Vincenzo Mascolo (Il minimo comune viaggiatore, prefazione di Claudio Damiani, Interno Poesia, euro 13) è innanzitutto, sulla scorta di una consistente tradizione novecentesca e non solo, un viaggio emblematico, alla ricerca di un significato da dare all’esistenza. La seconda sezione del volume, che si compone del poemetto dal titolo evocativo di Smisurata ragnatela, appare centrale non solo nella raccolta ma nell’intera produzione dell’autore. Il poemetto contiene infatti una sorta di dichiarazione di poetica, introdotta dalla constatazione che “il treno è per me anche un’idea, / il viaggio che non smetto di sognare”. Il viaggio, che è anche un sogno, perché noi in fondo “non siamo che dei sogni raggrumati / materia germogliata da energia”, fa ritrovare Mascolo, e noi con lui, all’interno di “un’immensa smisurata ragnatela”, di “un reticolo invisibile di fili / che lega tutto a sé / e il Tutto lega”. Insomma per il poeta ogni essere e ogni cosa sono parte integrante e sostanziale, anche se infinitesima e senza particolare identità che non sia pronta a trasformarsi in altro, del tutto universale. La poesia è così lo strumento privilegiato, forse il solo in grado di unire il corpo e la mente, la terra e il cielo, condurre ad unità la dualità con cui da sempre guardiamo e interpretiamo il mondo. Perché questo accada, bisogna innanzitutto che poesia e scienza ricomincino a parlare la stessa lingua: è questo il tempo, assicura il poeta, “di andare con lo sguardo oltre il confine / che ora divide l’umanesimo e la scienza / di scrutare la natura delle cose / tutte le cose visibili non viste / unificando ragione e irrazionale / ipotesi concrete e fantasia / la logica stringente all’utopia”.
Perché il percorso risulti possibile, Mascolo, nella prima parte del libro (Il cielo e le città, che si apre con il verso “Forse al di là del cielo ci sono altre città”), propone un viaggio iniziatico, tutto interiore ma che in qualche modo si vorrebbe non singolare, un condiviso percorso verso l’alto. Si tratta di avviare il cammino in compagnia di quell’umanità sensibile alla parola della letteratura, con cui il poeta dialoga, innanzitutto poeti e narratori, i cui scritti e i cui versi abitano il cielo verso cui il viaggio inizialmente si indirizza, alla ricerca di una spiegazione, che si manifesta forse per le strade di quelle città celesti, o, potrebbe darsi, di una verità che proprio in quello spazio impalpabile è conservata. E così, nella sua Praga, in una lettera all’amata Milena, Kafka confessa: “È solo che trascorro le giornate / a osservare il cielo dal mio letto /sognando di potermi alzare in volo / lasciando nella stanza, / non so se morto o vivo, / il corpo mio da insetto”. E Rousseau si chiede, mentre passeggia tra le vie di Parigi: “E se non fossi io ad avere il cielo tra le dita? / […] / Se fosse tutto qui il mistero? / Se il cielo fosse tutto in questo stare?”.
Il dialogo è in fondo un sentire comune che porta Mascolo a fare proprie le parole di altri scrittori: oltre ai già citati, Marco Polo, Dino Buzzati (“Invisibili sono anche le parole che ti ho dato”), Fernando Pessoa (“come se, in quel frastuono di voci che in me è così caro, / a poco a poco ogni cosa potesse di nuovo diventare reale”), Antoni Gaudì, Jorge Luis Borges, T. S. Eliot (“e io ricercherò su questa terra / finché avrò fede forza la speranza / il cielo che si annida tra le zolle”), Bruce Chatwin, Arthur Rimbaud (“Non era il Nulla che cercavo / ma il chiarore infinito del silenzio”) e naturalmente Italo Calvino con le sue città invisibili, a cui sono dedicate le citazioni di apertura e di chiusura della raccolta.
Il minimo comune viaggiatore è anche un canzoniere d’amore. Amore per le persone care e vicine, amore per la poesia. Anzi amore e poesia sembrano a tratti combaciare e sovrapporsi, insieme sono la forza, suggerisce il poeta, che muove verso la conoscenza e verso l’invisibile che è la vera sostanza di ogni cosa.
Con tono prosastico, ma affidandosi spesso a una cadenza endecasillabica o variamente ritmata, Vincenzo Mascolo ci porta dentro la sua visione delle cose, riflette sulla nostra presenza nell’universo, senza affidarsi a immagini metaforiche, senza prendere vie laterali, ma puntando direttamente a dirci come è fatto il mondo, con la stessa malinconica svagata saggezza di un viaggiatore che si rivolge al suo vicino di scompartimento durante il viaggio in treno.
Vincenzo Mascolo, Il minimo comune viaggiatore, Interno Poesia