Negli ultimi anni, il lavoro da casa è passato dall’essere un’eccezione a una realtà consolidata per migliaia di persone in tutta Italia. L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di COVID-19 ha accelerato un cambiamento che era già in atto, spingendo aziende e lavoratori a riorganizzare il modo in cui il lavoro viene svolto. Nel 2020, il mondo si è trovato improvvisamente di fronte a una pandemia globale che ha reso indispensabile il distanziamento sociale. Aziende di ogni settore, ove possibile, hanno adottato il lavoro da casa come unica soluzione per garantire la continuità delle attività. In quella fase emergenziale, il lavoro remoto era visto come una misura temporanea, per garantire la sicurezza dei lavoratori senza compromettere troppo la produttività. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), entro la fine del 2020 circa il 20% della forza lavoro globale svolgeva le proprie mansioni da casa, una percentuale molto superiore rispetto al periodo pre-pandemia. In alcuni settori, come ingegneria, servizi finanziari, marketing, creatività, etc.. questa percentuale era ancora più alta, sforando il 50%.
Con il miglioramento delle condizioni sanitarie e l’introduzione dei vaccini, molte aziende hanno iniziato a considerare il ritorno in ufficio, ma i due anni di lavoro remoto avevano cambiato le aspettative dei lavoratori: flessibilità, comodità e in particolare l’eliminazione dei tempi di pendolarismo, si sono rivelati vantaggi difficili da abbandonare.
Questa fase ha visto l’emergere del modello ibrido, in cui i dipendenti alternano giorni di lavoro in ufficio e da remoto. Sebbene questo approccio sembri conciliatore, ha anche sollevato nuove questioni: la gestione delle opportunità di crescita, la difficoltà di mantenere una coesione aziendale.
Parallelamente all’espansione del lavoro remoto, un altro fenomeno ha guadagnato terreno: l’adozione di modelli di lavoro flessibili ispirati alla gig economy (in chiaro: modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo) ma applicati a ruoli una volta tradizionalmente considerati stabili. Sempre più aziende hanno iniziato a sfruttare piattaforme digitali per gestire la forza lavoro, adottando contratti a progetto o freelance anche per attività continuative.
Ed ecco il vecchio lavoro a cottimo, ma sotto mentite spoglie
Questo modello permette alle aziende di ridurre i costi fissi legati all’impiego di dipendenti full-time. Tuttavia, i lavoratori si sono trovati spesso privi di tutele fondamentali, ferie retribuite, contributi pensionistici e sicurezza del posto di lavoro. In pratica, il lavoro da casa si è trasformato in una versione digitalizzata del vecchio lavoro a cottimo: lavoratori pagati in base ai risultati raggiunti, senza garanzie di continuità o stabilità… ma non solo, senza girarci troppo intorno questi strumenti digitali, da facilitatori del lavoro sono diventati addirittura sorveglianti dei lavoratori: offrono incarichi con retribuzioni basate esclusivamente sulla quantità, sulla qualità e sulle ore dedicate al lavoro prodotto.
Questo modello è particolarmente diffuso nei settori creativi, nella produzione di contenuti (giornalismo soprattutto!) e nei servizi di supporto clienti: basta farsi un giro su LinkedIn per capire l’enormità dell’offerta e la sua diffusione. Le implicazioni sono gravi: i lavoratori spesso accettano queste condizioni per necessità economica, trovandosi in una posizione di estrema vulnerabilità. La mancanza di un contratto stabile li espone a fluttuazioni di reddito e li priva di qualsiasi protezione contro licenziamenti improvvisi o condizioni di lavoro inique.
La reazione delle organizzazioni sindacali
In risposta a queste tendenze, le organizzazioni sindacali stanno cercando di regolamentare il lavoro remoto e le nuove forme di impiego. In alcuni paesi, sono stati introdotti diritti specifici per i lavoratori da remoto, come il “diritto alla disconnessione“, che garantisce il rispetto degli orari lavorativi… Tuttavia, la velocità con cui le aziende stanno adottando nuovi modelli contrattuali spesso supera quella delle riforme legislative. Di conseguenza, molti lavoratori rimangono intrappolati in una zona grigia, senza tutele adeguate.
Guardando al futuro, il lavoro da casa continuerà a evolversi. Alcune aziende potrebbero scegliere di tornare completamente in ufficio per recuperare una maggiore coesione tra i dipendenti, mentre altre potrebbero abbracciare il lavoro remoto come modello permanente.
Una possibile direzione è l’introduzione di modelli contrattuali innovativi che combinino flessibilità e sicurezza. Ad esempio, contratti che garantiscano un salario minimo indipendentemente dalla quantità di lavoro svolto o che offrano contributi pensionistici anche per i lavoratori freelance.
Ciò che è iniziato come una necessità temporanea durante la pandemia si è trasformato in un cambiamento strutturale con implicazioni a lungo termine. Sebbene il lavoro remoto offra innegabili vantaggi, come la flessibilità e la riduzione dei costi, le sue conseguenze sulla stabilità economica e sulla qualità della vita dei lavoratori non possono essere ignorate.
Affrontare queste sfide richiede un dialogo continuo tra aziende, Governo e lavoratori, con l’obiettivo di costruire un futuro in cui il lavoro da casa non si traduca in una nuova forma di precarietà, ma rappresenti una reale opportunità di miglioramento per tutti.
Come sempre nelle innovazioni epocali ci sono settori che ne beneficiano di più, altri che le subiscono, altri ancora che quasi non se ne accorgono, però in questa ci sono delle implicazioni dal punto di vista sociologico di cui è bene tenere conto.
È indubbio che sia in atto una Polarizzazione sociale; da una parte la disparità tra coloro che svolgono mansioni facilmente digitalizzabili e chi lavora in ambiti che richiedono presenza fisica, questo fenomeno può accentuare le divisioni economiche e sociali.
Ma non solo: la mancanza di accesso a tecnologie adeguate penalizza le fasce di popolazione più vulnerabili, aumentando le disuguaglianze sulle relazioni interpersonali in quanto la riduzione del contatto fisico tra colleghi modifica la socializzazione sul lavoro. Molti lavoratori riferiscono un senso di isolamento, che può avere conseguenze psicologiche e ridurre il senso di appartenenza a una comunità lavorativa.
D’altra parte, il lavoro da casa rischia di mescolare eccessivamente vita privata e professionale, generando tensioni domestiche e anche precarizzazione nel lavoro…
Ma c’è anche qualcosa di positivo:
La redistribuzione geografica della forza lavoro, il lavoro da remoto ha reso possibile vivere lontano dai centri urbani, con benefici per le comunità rurali che si ripopolano e una riduzione dei costi per i lavoratori, con conseguente minor impatto ambientale; la riduzione degli spostamenti casa-lavoro ha contribuito a diminuire le emissioni di CO2 nell’aria ed ha aumentato i tempi in famiglia.
Di certo governo e sindacati dovranno affrontare per tempo la gestione dell’inevitabile successo dello smart working… in alcune nazioni europee è ormai in un trend di rialzo molto forte, difficile da arrestare, in quanto il maggior tempo libero che la tecnologia mette ogni giorno di più a nostra disposizione sarà il prossimo grande business delle multinazionali dei servizi.