Il mondo digitale ha ucciso la cultura di massa? Ci chiediamo spesso se la frammentazione dell’offerta mediatica, la suddivisione degli utenti in piccoli gruppi, un cambiamento radicale della cultura e della mentalità dell’utenza abbiano portato alla fine di un’epoca nella storia dei media e dei consumi. Il sociologo Vanni Codeluppi risponde alla domanda in un intenso volume (edito da Carocci, collana Sfere Extra) in uscita nel mese di settembre.
La cultura di massa – è questo l’assunto di Codeluppi – con l’interferenza di diversi fattori, si è profondamente modificata negli ultimi anni. Da un’elevata diffusione registrata negli anni Sessanta e Settanta, complici la presenza massiccia di radio e tv, si è passati a un’inedita frammentazione che ha portato a una polarizzazione delle subculture e alla conseguente scomparsa della cultura centrale e media, quella appunto di massa. Insomma, le teorie della Scuola di Francoforte, comprese le critiche di Horkheimer e Adorno all’industria culturale che uccide la creatività artistica e la libera espressività culturale, sembrano oramai adatte solo ai libri di storia della sociologia dei media.
I processi di frammentazione della cultura iniziano a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, con il modello industriale postfordista. La trasformazione continua in spazi fluidi, così come sono quelli della mostra “Gli immateriali”, ideata da Thierry Chaput con il filosofo Lyotard (che già aveva scritto di società postmoderna). Cosa accade? La cultura si frammenta e si disgregano i tradizionali confini tra “alto” e “basso”, le società capitalistiche adottano un’estetica della superficie, prevale la logica del flusso e i tempi di fruizione dei prodotti culturali sono notevolmente accelerati. L’offerta informativa ne è un esempio: la fame di notizie non può attendere la lettura del quotidiano al mattino; si vuole essere informati sempre e ovunque, 24 ore su 24.
Il concetto di massa si trasforma in quello di “sciami digitali”, in cui il soggetto vive una condizione comune ma di isolamento, bypassando del tutto il processo di identificazione con il gruppo, come invece accadeva con la massa. È la stagione di Netflix, dello streaming domestico, della possibilità di accesso con un click a una miriade di contenuti, quello della “marvelizzazione” della cultura, quello del tramonto della realtà, sostituita sempre più da una realtà mediatica e digitale.
Sul web, intanto, assistiamo al culto del banale: TikTok è il social più amato (non solo dai giovani) e in cui imperversa la banalità che tiene incollati allo schermo per video brevi e senza approfondimento, tanto che Codeluppi azzarda: non siamo più di fronte a un processo di comunicazione ma a una connessione basata su un flusso di contenuti ininterrotto e con il solo fine di essere visti. Poi una nota dolente: anche i quotidiani si rassegnano al trend e si riempiono di contenuti di cronaca nera, rosa, gossip, accantonando per grandi linee i contenuti di qualità. I risultati? Sono sotto gli occhi di tutti: editoria in crisi e lettori in fuga.
Che futuro ci aspetta? Dipende da noi: accetteremo lo stato delle cose? Oppure proveremo a modificarlo?
[Vanni Codeluppi, La morte della cultura di massa, Carocci Editore]