“Sono i desideri che salvano”
da Oceano mare, di Alessandro Baricco
“Pesce, resterò con te fino alla morte!”
da Il vecchio e il mare, di Ernest Hemingway
Penso di scrivere univocamente su due libri che ho appena letto (riletto) e che mi hanno dato (lasciato) tanto.
Intanto ho capito che non smetterò mai di rileggere libri amati. Lo faccio regolarmente da anni e continua ad essere un proficuo periscopio dentro di me ed i miei cambiamenti.
Prendi Oceano mare.
Lo lessi tanti anni fa e mi affascinò, ma in alcuni punti che faticavo a comprendere lo trovai irritante e brutta la punteggiatura.
Due false criticità, secondo la me di oggi.
Un libro di narrativa non è un trattato di matematica. Puoi non capirne dei passi e attendere. Capirai dopo o non capirai affatto e può essere irrilevante. Ciò che conta è entrare nella storia e farla tua. I personaggi di Oceano mare bucano la pagina. Li vedi, li tocchi, quando la sera ti corichi li porti con te, dunque sono forti. La punteggiatura? Baricco saprebbe benissimo usarla in maniera corretta. Se non lo fa è perché sceglie di aderire al suo flusso di pensieri e dragartici dentro. E funziona. È poi una questione di ritmo. Il ritmo narrativo è fortemente collegato alla punteggiatura ed è giusto che l’autore adoperi delle scelte. In questo testo, più che negli altri, Baricco inoltre ha messo in atto un notevole sperimentalismo.
Simbolicamente il mare rappresenta molte cose, in primis l’ignoto, e dunque l’inconscio.
Scelgo di parlare di due libri senza tempo: Oceano mare di Baricco e Il vecchio e il mare di Hemingway, ritenendo che entrambi questi autori abbiano scritto del mare come forse nessuno mai.
Credo che il principale obiettivo di Baricco nella stesura di Oceano mare, fosse quello di consegnarci un’opera tattile intinta nell’acqua del mare, e ci è riuscito. Tutto il libro è bagnato di mare. Galleggia a pelo d’acqua o va giù nelle profondità degli abissi dell’oceano, sempre trascinandoci con sé. È fatto di mare, mare.
Inzuppati di mare sono anche i suoi personaggi, che alla ricerca di un nuovo sé approdano alla locanda Almayer. Lo scienziato Bartleboom, che abbandona tutto e per completare la sua enciclopedia sui limiti, va a rifugiarsi lì per poter ogni giorno con i suoi attrezzi misurare la riva del mare. La sua esigenza interiore è rispondere al quesito: dove inizia la fine del mare?
Osserva e studia per ore e giorni, il movimento oscillatorio di creazione e distruzione delle onde del mare, desiderando catturare una immagine, una soltanto che sappia dire dove finisce il mare.
Ogni dì, quando rientra alla locanda, è anche dedito a scrivere una lettera d’amore alla donna che un giorno presume di incontrare, ne è sicuro.
Allora queste migliaia di lettere, gliele consegnerà per dimostrare che ha passato la vita aspettandola.
“Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle: Ti aspettavo. Lei aprirà la scatola e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu si prenderà gli anni che quell’uomo, prima ancora di conoscerla, le aveva regalato….”.
C’è poi Plasson, pittore di fama che ha lasciato la sua vita di successo ma comunque non appagante, per andare a vivere anche lui alla locanda, ed ogni mattino raggiunge il mare per dipingerlo, rimanendo con metà corpo immerso in acqua. Però le sue tele restano vuote, visto che lui intinge i pennelli nell’acqua di mare. Plasson dipinge il mare con il mare. Le sue tele sono tutte bianche, così come “il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni”.
La locanda Almayer è tenuta da una bimba di nome Dira, che ha solo dieci anni ma fa tutto come un’adulta. Ci sono anche altri quattro bambini. L’atmosfera del romanzo è del tutto surreale, eppure da questa nebbia onirica e questo mistero sbucano fuori tante verità a tagliarci l’anima.
Dove può spingersi la crudeltà degli uomini, ma anche il coraggio. Il senso di giustizia, ma anche di vendetta.
L’ardimento della passione amorosa, ma anche la rassegnazione.
Oceano mare, un testo potente, seguito nel corso degli anni da molte rappresentazioni teatrali e fumettistiche, che può piacere o no, come tutti i libri, ma se ti piace, ti piace per sempre.
Non posso dire di tutti e sette i personaggi della locanda, scriverei un altro libro, ma nemmeno posso omettere di parlare del personaggio più straordinario, Elisewin, una ragazza che vive rinchiusa nel castello del barone suo padre per i suoi primi sedici anni, rischiando sempre di morire. La sua sensibilità, il suo sguardo, i suoi sensi, sono lievi come sottilissima seta. Elisewin, per un grammo d’emozione, si espone ogni giorno alla morte, dunque è come se non fosse viva. Per farla guarire (o anche morire ma val la pena rischiare), un religioso di nome padre Pluche prospetta al barone di portare sua figlia in viaggio e farle prendere dei bagni d’onda di mare, che saranno per lei come “orgia dei nervi”. Il barone dà la sua approvazione, e padre Pluche ed Elisewin partono, per approdare anch’essi alla locanda, una locanda di pace dove accadranno invece tutte le apocalissi.
L’oceano mare della vita.
Ne ‘Il vecchio e il mare’, suo ultimo romanzo, Ernest Hemingway ci parla invece della forza del mare. Non è cattiva, la forza del mare, tanto più per un pescatore, e il vecchio Santiago è un antico pescatore. È una forza buona, che l’energia della natura può rendere nemica ma resta comunque buona. Da più di 80 giorni, come se fosse stato colto da una maledizione, Santiago torna a casa senza aver pescato nulla e prega di poter finalmente pescare un grosso pesce, che gli dia sussistenza per l’inverno. Siamo nel mare dei Caraibi.
È un uomo solitario. Solamente il suo giovane amico Manolo va spesso a trovarlo per il grande rispetto e tenerezza che ha per lui. Il corpo di Santiago gli invia segnali di dolore e impotenza dovuti agli acciacchi dell’età e alla vita difficile che ha fatto, esposto al freddo, al gelo, all’umido di casa sua, ma lui ha in cuore un’ultima avventura e arriva il giorno tanto atteso. La sua lenza cattura un pesce spada enorme, tanto enorme come non ne ha visti mai.
Inizia una strenua lotta. Il pescatore non può prenderlo in barca, è troppo pesante. Può solo tentare di trascinarlo, dopo averlo ucciso, sperando che non si liberi dall’esca. Questa lotta durerà due giorni e una notte, nelle quali per conservare le forze Santiago mangia pesci volanti catturati e beve con parsimonia il poco d’acqua rimasto nella borraccia. Ha forti crampi alle mani e profondi tagli dovuti agli sfregamenti della lenza che a tutti i costi deve trattenere. Lo aiutano le preghiere, la passione per il suo idolo Joe Di Maggio, mitico giocatore di Baseball, e la salda speranza di potercela fare. Soprattutto lo aiuta il mettersi in gioco per l’ultima volta. Prendere tutto il coraggio e la perseveranza posseduti. Non arrendersi, lanciarsi in questa grande impresa a giustificazione di tutta una difficile vita.
Parla spesso da solo, rivolto al mare e al cielo, in quest’avventura che diventa anche viaggio spirituale. È una lotta impari, perché la natura in questa circostanza dispiega tutte le sue forze, eppure il pescatore stabilisce con lei una sorta di fratellanza. A volte il pesce salta fuori dell’acqua e lui ne vede le dimensioni, sono davvero eccezionali. Gli parla e gli chiede scusa per dovergli infliggere la morte, ma non ha scelta. Purtroppo un branco di pescecani verranno a turno a mangiarne dei pezzi e sulla scia del sangue che sgorga dal corpo del pesce mutilato, altri pescecani arrivano a finire il lavoro, così che il pescatore torna in porto portando del suo meraviglioso pesce solo il trofeo della testa e la lunga lisca.
Anche in questo romanzo, che i critici hanno definito il suo Moby Dick e che valse ad Hemingway il premio Nobel nel 1953 (un anno dopo averlo pubblicato), domina sempre il mare, ma forse non è giusto dire domina.
Il mare è lì, semplicemente, e in certe storie diventa parte di noi.