Guglielmin, un regno nella trama dell’Amleto

Nel libro "Un regno di ciechi senza doni" ci sono, a detta dell’autore, quattro fili che s’intrecciano: la trama shakespeariana, il fare teatro con elementi fisici e simbolici, il meta-poetico, la sua autobiografia. Al centro c’è la Storia, con le sue ossessioni: il potere, l’identità, la famiglia, il libero arbitrio, la figura femminile

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Fuori testo.
Adolescente, attribuii la solitudine a una mancanza d’amore, a un pieno metafisico che mi era dovuto e che mi sottraeva. Da adulto capii che siamo concavi per costituzione, e permeabili: il peso ci piega, la tempesta ci sfianca. A tenerci in piedi non possono che essere la smemoratezza e le distrazioni dai mali: annusare un fiore, leggere un libro, bere un bicchiere.

Coro.
Dove difetta Amleto?
È forse un vizio amare il padre e la madre?
Per quale imperfezione lo sentiamo fratello?

In questo libro, Stefano Guglielmin, Un regno di ciechi senza doni, Marco Saya Edizioni, pag. 127, ci sono, a detta dell’autore, quattro fili che s’intrecciano: la trama dell’Amleto shakespeariano, il fare teatro nei suoi elementi fisici e simbolici, il meta-poetico, la sua autobiografia. Al centro, scrive ancora Guglielmin, c’è la Storia, con le sue ossessioni: il potere, l’identità, la famiglia, il libero arbitrio, la figura femminile. Mi permetto di aggiungere che ci sono anche tante altre cose che l’autore di questo intrigante volumetto lascia al lettore scegliere o imporre in quel gioco alchemico che è la costruzione e insieme l’interpretazione di linguaggi. In questo caso, si tratta di poesia nella sua accezione più larga di zona senza tempo né spazio. Nessun dominio, se non la libera meraviglia di porsi davanti a una scrittura che ci fa sentire il silenzio del corpo, il suo spettro come forma o essenza di vita, capace di muovere in turbamento quella ragione fisica della mano che scrive e che divora, penetra, decifra, intuisce, avverte, immagina. Prevede! Guglielmin in questo è filosofo, e la sua comprensione dell’esistere passa attraverso movimenti azzardati quanto naturali: come segno poetico non segnato, ma solo alluso. La sua poesia è come un testo che si fregia di altri testi. In pratica, egli ci dice di ogni testo che è un insieme di testi, dove la significazione è nel rimando, nella mobilità di una lettura, di un prediligere, di un léghein, cioè di un procedere del pensiero che non si dà nella credenza di una fede ma di una parola vasta, forse indicibile, mancante, di sicuro sottratta alle significazioni abusate o esagerate o trascese. Quella di Guglielmin è una poesia sapienziale nella sua vocazione a essere “poesia onesta”, declinata con maestria e quasi sommessamente nelle sue flessioni stilisticamente sperimentali e filosofiche. Mormorando, fremendo un linguaggio potente, quanto subdolo, sferzante e abilmente drammatico. “Come smontare il teatro moderno e così il mondo?/Con lo Spettro sempre in scena e un Amleto artista/che muore intingendo la penna nel proprio sangue finto”. Vediamo, a questo punto, i personaggi presenti in questo libro, dramma diviso in cinque atti, ognuno con diverse scene e disparati testi. Amleto: principe di Danimarca, nipote di re Claudio; Claudio: nuovo re di Danimarca, fratello del defunto re Amleto; Spettro: manifestazione del re defunto; Gertrude: madre del principe Amleto, vedova di re Amleto; Due guardie: nello specifico, Bernardo e Marcello; Orazio: amico di Amleto e confidente; Polonio: ciambellano di corte, padre di Ofelia e di Laerte; Ofelia: figlia di Polonio, innamorata del principe Amleto; Laerte: figlio di Polonio, amico di Amleto; Reginaldo: servo di Polonio; Rosencrantz e Guildestern: cortigiani, amici di Amleto; Osirico: cortigiano. Teatro, dicevamo. E quale simbolo, segno, emblema più pregnante per rappresentarlo che l’Amleto del grande poeta e drammaturgo elisabettiano di Stratford?
Teatro. In altre parole, teatro nel teatro. Un’opera meta teatrale, quindi, ma per dire che cosa? O per alludere a cosa? E perché, l’uso di un testo teatrale, anzi il Testo per eccellenza, per fare poesia? Non si pensa per niente a un mero segno della coppia finzione/realtà né il rimando di un assetto tragico ontologico, talaltro già codificato nei registri della drammaturgia contemporanea, quanto piuttosto, verrebbe da riflettere su un semplice appiglio che il testo shakespeariano avrebbe potuto ispirare, vale a dire la saggezza della follia di Amleto e la coniugazione, di un’attualità e magnificenza disarmante, nelle parole di Guglielmin: D’ora in avanti non esisteranno più differenze/tra parlare e sparlare, tra filosofia e opinione,/tra il dire e l’agire. Giurate che non chiederete/e non farete la spia, che ogni mio gesto vi parrà/sensato! “Nascono così le dittature, principe?”. “Nasce così la solitudine, Orazio”. E rimanendo a un livello filosofico-esistenziale, si attraversa l’irrisione interrogante del “Verme sovrano”, di un’ironia pungente ma leggera, quasi impalpabile. In tutta la riflessione del poeta di Schio (Vicenza) si avverte incondizionata una sua leggerezza, un modo di porre le cose, le questioni, in termini pressoché intangibili, deboli, in realtà il suo è uno stile verosimilmente raffinato, un modo affinché i dardi tossici di una contemporaneità corrotta e annichilita possano penetrare con più dolore nella pelle irrigidita dell’indifferenza. La poesia, allora, diventa spazio di una memoria condivisa, di una vocazione al dialogo e alla meditazione. Tuttavia, è sempre il teatro, la parola decisiva. Ed Elsinore è il regno dei ciechi e degli spettri. È il luogo dell’offuscamento e del delirio. Del potere assurdo. Dell’amore e dei tradimenti. Della vita e della morte. Dove creatura e creatore si confondono nelle trame aggrovigliate del linguaggio, dove la macchina infernale della rappresentazione si scinde e si fonde come i miseri calchi (attori, personaggi, eroi, poeti) che vivono solo nei libri o per i libri. Nel Libro. “Qui si muovono gl’ingranaggi,/si assestano contrappesi; l’opera/è una macchina barocca: occorre saperlo/prima di tirare semplici conclusioni. Un libro questo che a differenza del titolo è un vero dono. Un libro che mi ha riportato un vecchio amore nella veste di uno dei più grandi drammaturghi che ho apprezzato molto nel mio periodo di vita universitaria. Così il ricordo di tanti confronti e discussioni su Shakespeare, in particolare su La tempesta, che di sicuro Guglielmin avrà letto e apprezzato almeno quanto Amleto. O sui Sonetti che mi sono ritornati come delle vere e proprie frecce impazzite. Che dire ancora? La poesia è questo linguaggio di beato confine, un duello contraffatto, una metafora e una metamorfosi continua. Amleto ne è il suo cantore e il suo gorgo ineffabile. “Amleto è solo figlio di re.”

Stefano Guglielmin, Un regno di ciechi senza doni, Marco Saya Edizioni, pag. 127

Stefano Guglielmin è nato a Schio (VI) nel 1961. Laureato in filosofia, insegna lettere presso il locale liceo artistico. È membro della Società Filosofica Italiana. Gestisce il Blog sulla poesia italiana contemporanea Blanc de ta nuque.

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