Il progetto del presidente degli Stati Uniti per Gaza inizia a essere concreto. Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha ordinato all’esercito di preparare un piano per consentire ai residenti di Gaza di lasciare la loro terra “volontariamente”. Allo stesso tempo, Donald Trump ha dichiarato che Israele consegnerà Gaza agli Stati Uniti una volta terminati i combattimenti.
La natura coloniale di questo progetto è sotto gli occhi di tutti. Accolta in modo entusiastico in Israele, anche da parte dell’opposizione parlamentare, con pochissime voci di dissenso, sostanzialmente rappresentate dal giornale di sinistra Haaretz.
Questo progetto trova fondamenti politici e culturali nell’archivio coloniale e imperiale che ha alimentato la civiltà moderna capitalistica. Una civiltà che nei suoi gruppi sociali dominanti ha concepito le popolazioni povere ed esterne prima all’Europa e poi all’Occidente come inferiori e, quindi, senza voce e a loro disposizione: da usare come schiavi, manodopera a basso costo o, se necessario, da sterminare o espellere e rinchiudere in riserve. In questo senso, il Presidente degli Stati Uniti non fa nient’altro con Gaza che dare nuova attualità alla logica della conquista del West e alla distruzione della popolazione nativa, quelli che noi chiamiamo gli indiani di America, costretta dall’esercito, quella sopravvissuta, nelle riserve. Donald Trump utilizza tutto l’archivio coloniale: quello che ritiene gli altri inferiori a propria disposizione e li tratta come cose, oggetti senza parola e senza capacità e che, se si ribellano, sono automaticamente selvaggi da reprimere. Animali, come Donald Trump definisce le persone immigrate prive dei documenti regolari.

Il progetto del presidente degli Stati Uniti ha un solo merito: quello di fare vedere a tutti che la colonia non è finita, che non è vero che siamo in un mondo post-coloniale. La spinta coloniale, dunque imperiale, è sostenuta da una parte delle classi sociali dominanti, costituisce ancora una prospettiva di governo del mondo. In questo senso, non solo la volontà coloniale ma anche quella imperialistica non hanno mai abbandonato i gruppi dominanti. Il progetto di tenere a propria disposizione esseri umani e territori e di potere decidere sui loro destini a proprio piacimento è ancora vivo. Il presidente Trump ha il semplice privilegio di ricordarcelo e di rendere ancora una volta chiaro che tra i grandi valori del cosiddetto Occidente, cioè di quella parte di umanità che negli ultimi cinque secoli ha dominato e incarnato la civiltà moderna capitalistica, c’è il valore del privilegio: la civiltà capitalistica si è fondata, e, come Donald Trump ci mostra in modo chiaro, continua a basarsi sul privilegio, dunque sulla sopraffazione e sulla violenza.
Ovviamente, come ci mostrano la storia e tante studiose e studiosi, questo progetto trova l’opposizione delle popolazioni che vorrebbe dominare, deportare o sterminare. A differenza dell’Ottocento, nel mondo attuale i rapporti di forza sono diversi. Il Novecento è stato caratterizzato dalla liberazione dalla dominazione coloniale di molte popolazioni, così come dalla lotta contro razzismo e apartheid. In questo senso, i popoli in lotta contro colonia e imperialismo hanno determinato un fatto fondamentale, quella per cui nessuna popolazione o gruppo sociale può essere sottoposto in modo legittimo al dominio altrui, a un’occupazione coloniale. Se questo avviene – come nel caso delle colonie israeliano in Cisgiordania – si tratta di un fatto illegittimo e, quindi, illegale. Nella lunga storia del movimento anticoloniale c’è l’alternativa alla proposta finale di Trump: l’alternativa della pari dignità tra le popolazioni e i gruppi sociali. Di fronte al privilegio c’è la proposta dell’uguaglianza. Proprio perché la storia anticoloniale ha dato i suoi frutti, ci sono le condizioni politiche per un esito diverso da quello delle lotte di liberazione nazionale anticoloniale del Novecento: lotte che hanno in ogni caso prodotto lutti e sofferenze. Ovviamente, questo esito possibile non è voluto dall’amministrazione statunitense e da quella israeliana e questo non potrà che alimentare in modo ulteriore una prospettiva di scontro, considerato che la popolazione palestinese non lascerà la propria terra.