Colli, la filosofia dell’espressione tra sapienza privata e pubblica

Un apporto unico se non raro alla comprensione di un maestro della cultura italiana del Novecento che permette di riflettere sulle ragioni per le quali la sua opera è rimasta in ombra rispetto all’influsso che ha esercitato come filologo e editore di testi

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Essi sono degli autodidatti. Hanno entro di loro un demone di auto sufficienza – impulso di dominare che fa loro rifuggire tutti gli insegnamenti comuni a tutti e a tutti accessibili – odiano la ragione perché è comunicabile. La loro essenza è l’incomunicabilità. Questa è la loro tragedia: sentirsi separati dagli uomini mentre essi vorrebbero farsi capire. Platone, sotto l’influsso di Socrate, conserva per quasi tutta la vita l’illusione di farsi capire. In Socrate e Platone l’eros li costringe a mentire a se stessi. Tragedia di Eraclito: coscienza che neppure una goccia della sua grande ricchezza sarà usufruita. Sua solitudine e distacco dagli uomini in disperata compressione della sua ricchezza perché non scorra via – non vuole sprecarla (sarebbe cambiare fuoco in acqua). Giorgio Colli, Interiorità ed espressione, Neri Pozza, pag. 202.

Si tratta di un appunto dei testi giovanili di Giorgio Colli (Torino 1917- Fiesole 1979), qui esemplarmente raccolti da Luca Torrente e Maicol Cutrì. Il volume, oltre alla prefazione e una nota al testo dei curatori, presenta un’avvertenza di Giorgio Agamben, direttore della collana La quarta prosa che l’editore Neri Pozza pubblica nell’intento di fornire riflessioni sulla modernità attraverso l’opera di grandi pensatori, cabalisti, trattatisti e tanto altro ancora. C’è da dire subito che “Interiorità ed espressione” offre un apporto unico se non raro alla comprensione di un maestro della cultura italiana del Novecento e, insieme, permette di riflettere sulle ragioni per le quali la sua opera filosofica è rimasta in qualche modo in ombra rispetto all’influsso che egli ha esercitato come filologo e editore di testi (basta qui ricordare l’edizione critica delle Opere di Nietzsche – proprio in questi giorni in uscita per Adelphi raccolte in un consistente cofanetto – e dei presocratici sempre per la stessa casa editrice, e la straordinaria collana “Enciclopedia di testi classici” per Boringhieri).

È notevole notare come appare immediatamente evidente la natura precocemente speculativa del giovanissimo Colli, che nell’Abbozzo di un sistema filosofico del 1936-37, e nell’Idea di Giustizia per i Pitagorici, sezione A del libro, Colli ha appena vent’anni, mostra già quello che sarà uno dei cardini della sua riflessione matura, e cioè il rapporto tra sapienza privata e sapienza pubblica. In pratica, l’aspetto politico della conoscenza che, proprio nei filosofi presocratici, specialmente Parmenide, Eraclito ed Empedocle, egli vede e sente come una dimensione di dissidio, o almeno di forte contrasto e imbarazzo, perché il nesso che contraddistingue la sfera pubblica è diametralmente opposto a quella privata. Come scrive Luca Torrente, si tratta di mantenere in contatto il pensiero e il mondo. Un pensiero che secondo Colli è intessuto di una dimensione mistica. Il filosofo è per Colli, lo suggerisce Agamben, un uomo che innanzitutto rinuncia a comunicare e a farsi capire e, come Eraclito, dà per scontato che nulla della sapienza può essere trasmesso. Ciò non significa che il filosofo cerchi l’oscurità, ma che l’incomprensibilità è oggetto intrinseco di qualsiasi approccio conoscitivo. La conoscenza, in breve, non è rappresentazione ma espressione. – “Filosofia dell’espressione” sarà il saggio teoretico che vedrà luce nel 1969. Colli si arrischierà a ripensare nientemeno che la filosofia nei suoi sviluppi metafisici andando a ritroso nel tempo fino alle origini del primo pensiero greco. – Espressione di ciò che è immediatezza, ciò che è solo un contatto, e che come tale deve restare ignota. Ciò che è espresso, scrive Agamben, non è né rappresentato, né può essere comunicato. Negli “Appunti critici sui Presocratici”, sezione B del libro, Colli riferendosi ai suoi due massimi “interlocutori”, Eraclito ed Empedocle, scrive che per capire la loro complessa individualità bisogna comprendere la loro filosofia. Poiché è proprio essa che li porta (fatalmente) alla concezione eroica del mondo.

La concezione eroica del mondo è la solitudine, continua Colli, il porsi contro di tutti. Infatti, essendo la natura della loro personalità infinita, dionisiaca, non può adattarsi alla posizione limitata e apollinea dell’uomo nella pólis e per contro è di una tale infinità che non può adattarsi alla tirannia, che gli permette di dominare solo gli uomini e non il mondo, e per di più una sola parte di uomini, e lo mette alla pari con altri tiranni, che sono altri uomini – non lo toglie dal contatto con gli uomini, gli fa sentire un senso di limitazione che non può sopportare. Questi uomini eroici divengono così degli anti-politici, anti-socievoli, il rapporto con gli uomini è limitazione per essi. Se la solitudine è il primo aspetto di una filosofia “espressiva”, il secondo si realizza, lo appunta Colli, con l’identificazione con il mondo e con l’accettazione – suprema conoscenza – della vita in tutti i suoi aspetti di dolore, di morte e di nascita. La sezione C del libro, meno interessante dal punto di vista di una ricostruzione teoretica filologica del percorso di Colli, mostra, invece, spunti psicologici e pratici di una formazione che benché di singolare precocità e anche già ben predisposta a un piano cosciente di lavoro che lo vedrà impegnato fino alla fine dei suoi giorni. In “Questioni cronologiche e dossografiche” (1941) – e qui il riferimento a ciò che sarà il suo grande contributo alla comprensione di Nietzsche e della filosofia Preplatonica come egli userà dire più propriamente – Colli annota: Epoca Tragica, Apollineo e dionisiaco – Grandi personalità – Politicità greca. I grandi presocratici, Parmenide – Eraclito – Empedocle, come individualità eterne, analisi di notizie biografiche, e come grandi filosofi. Trascendenza – pluralismo – amoralismo. E così via. Segue un elenco ben ordinato e pianificato che sarebbe inutile riportare. Tutti studi, insomma, che si concreteranno in libri fondamentali per la filosofia e che vedranno luce negli anni successivi.

Infine, un breve Taccuino dall’esilio (1944). “Non è un diario, cioè non è scritto giorno per giorno. I fatti e gli stati d’animo sono esposti in un giorno posteriore, e quindi sono scritti un po’ a fantasia”. Tuttavia, si evince, oltre che il racconto della fuga dal fascismo per andare in Svizzera che lui crede in primo momento osteggiata dal genitore, – il padre, Giuseppe, era amministratore de la Stampa di Torino sostituito a causa della dittatura da Curzio Malaparte – il continuo riflettere sul suo lavoro e sulla preparazione di un sistema filosofico definitivo. Un sistema non facile, anzi di cospicua complessità, che tuttavia rende l’incredibile sforzo di Colli di ribaltare completamente linguaggio e direttive alla filosofia. Impegno che sicuramente andrebbe ripreso se non altro per le possibilità che studi più approfonditi potrebbero aprire per scardinare una filosofia, ormai, in perenne stato comatoso. A chiusura, un appunto politico “conclusivo” del Diario dall’esilio (1944), a dimostrazione di quanto “la politica” abbia interessato Giorgio Colli da sempre. E come avrebbe potuto non essere così, quando in Grecia tutto era politico e niente non poteva esserlo? “Liberalismo è un concetto politico, filosofico, presupposto di una civiltà, non di una singola teoria politica e tanto meno di un partito. Democrazia è un concetto metodologico, funzionale, di vita politica, come tale esisteva già in Grecia, dove non c’era liberalismo”.

Giorgio Colli, Interiorità ed espressione, Neri Pozza, pag. 202

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