Per cambiare, per migliorare, per vivere, bisogna sempre pensare che l’altro
sono io e agire di conseguenza. Occorre essere continuamente in lotta,
continuamente in rivolta contro le abitudini che generano passività,
stupidità ed egoismo. La rivoluzione è una perpetua sfida alle incrostazioni
dell’abitudine, all’insolenza dell’autorità incontestata, alla compiacente
idealizzazione di sé e dei miti imposti dai mezzi di informazione. Per
questo la rivoluzione deve essere un evento normale, un continuo
rinnovamento, un continuo riflettere e fare, discutere e fare.
Gli altri sono io.
Alberto Manzi
Sta per finire questo 2024 che ha commemorato numerosi intellettuali ed artisti italiani nel centenario della loro nascita o morte, da Franco Basaglia a Eugenio Scalfari a Giacomo Puccini, e certamente non ha dimenticato Alberto Manzi, l’amato “maestro d’Italia”, educatore, ideatore e conduttore radiofonico e televisivo, autore di testi scolastici e fiabe, divulgatore scientifico, traduttore, narratore e poeta, docente universitario, sindaco di Pitigliano, Cavaliere dell’ordine «Al merito della Repubblica italiana».… vincitore di numerosi premi per la letteratura per ragazzi (Collodi, Firenze, Andersen, Osterreichishen Kinder und Jugendbuchpreisen», Vienna, Premio Puglia, Premio «Bardesoni) e per il suo impegno nella didattica innovativa, televisiva e non (UNESCO, Antenna d’Oro, Presidenza del Consiglio, Marco Aurelio d’Oro, Raffaele Lambruschini, Premio Internazionale di Tokio e dell’Istituto Accademico di Roma) e un lungo eccetera…
Quasi un divo al servizio
della modernizzazione
Molto si è detto e scritto, grazie anche alle attività promosse dal Centro Alberto Manzi di Bologna, sulla sua pedagogia rivoluzionaria che comprende anche, già negli anni 90, programmi per insegnare la lingua italiana agli extracomunitari (Insieme, 60 puntate televisive) e per gli italiani all’estero e gli stranieri studiosi della lingua italiana (Curiosità della lingua italiana, 40 trasmissioni su Radio International).
Quasi un divo, un uomo di punta, un protagonista della vita culturale italiana, che però non ha mai rinunciato alla sua professione di maestro elementare sempre all’erta, pronto a provocazioni e ribellioni, ma sempre pacifiche e propositive: il rifiuto di compilare le schede scolastiche sostituite da un timbro: “Fa quel che può, quel che non può non fa”, che gli provocò quattro mesi di sospensione…
I suoi riflettori puntati
sui sud del nuovo mondo
Ma c’è un aspetto della sua frenetica produzione cartacea e attività sul campo – le due sempre in stretta relazione: “il maestro non può insegnare pensieri, ma deve insegnare a pensare … Dire è fare” – che è rimasta ostinatamente nell’ombra ma invece costituisce un indispensabile tassello per ‘ripensare’ il Maestro Manzi e restituirgli un’immagine a tutto tondo, di intellettuale, pedagogista, uomo…: i suoi rapporti con l’America Latina e precisamente quell’America meno ‘civilizzata’ dall’uomo europeo e più sfruttata e violentata dal capitale internazionale, l’Amazzonia tra Ecuador, Perù, Bolivia…
Come introduzione a tutto questo possiamo leggere gli articoli che l’inviato speciale Alberto Manzi invia a “Il Vittorioso” e vengono pubblicati tra il 1956 e 1957 – cioè 4 anni prima che iniziasse Non è mai troppo tardi – ora pubblicati, insieme ad altri inediti, in Un maestro nella foresta (EDB, 2017): il suo primo viaggio, per studiare il comportamento di formiche carnivore su progetto dell’Università di Ginevra, in cui conobbe Don Giulio Pianello, missionario salesiano, che sarà suo compagno in innumerevoli avventure americane.
In Amazzonia missionario
tra i missionari salesiani
Da allora quasi ogni anno in estate, per quasi 30 anni – l’ultimo suo viaggio è del 1984 – Manzi si recò nella foresta amazzonica per insegnare a leggere e scrivere agli Indios con l’appoggio locale di alcuni missionari salesiani, primi fra tutti Don Giulio Pianello e Don Rodas, con i quali fu coinvolto in diverse attività di ‘resilienza’ quando non di ribellione, nei confronti delle multinazionali e dei grandi “signori della terra”. Venne accusato di svolgere attività illegali e sovversive e di essere un “guevarista” collegato ai ribelli, fu anche imprigionato e torturato, ma di questo solo la moglie Sonia conserva il ricordo (c’è una testimonianza della sua attività di guerrigliero, con don Giulio, in un diario inedito del suo ultimo viaggio in Bolivia, con lattine di conserva di pomodoro esplosive e fughe temerarie in canoa e su un aereo rubato…).
Cioè durante l’estate, nel periodo di vacanza dalla scuola dove insegnava come maestro elementare, andava in Sudamerica a fare il “maestro di strada”, a insegnare a pensare e a conoscere i propri diritti. Questo aspetto del suo curriculum, cioè l’avere esperienza di alfabetizzazione degli adulti – emarginati e subalterni, esattamente come i nostri analfabeti adulti – non fu un elemento che indusse i dirigenti RAI a scegliere lui come maestro per quel progetto televisivo, semplicemente perché lo stesso Manzi non aveva mai parlato di quella esperienza (fu scelto per una sua disobbedienza, perché durante il provino improvvisò brillantemente una lezione alla lavagna senza seguire il canovaccio che gli avevano dato).
Pochi accenni di questa seconda vita di Alberto Manzi sono presenti nelle sue biografie, ne parlano alcuni amici e la figlia Giulia in densi testi che accompagnano le pubblicazioni che piccole e coraggiose case editrici stanno producendo in questi ultimi anni…
“Inviato speciale”
tra i diseredati
I pochi accenni e aneddoti di questi viaggi e della sua attenzione verso i diseredati, con un impegno civile molto aldilà di quanto la sua immagine pubblica possa lasciar immaginare, ci sono però di grande aiuto nel leggere la sua ‘trilogia americana’, che, come un romanzo d’avventure tragico e coinvolgente, avvicinano il disattento lettore italiano a quel mondo e, soprattutto, all’uomo Alberto Manzi, questo sconosciuto.
Sono tre romanzi (La luna nelle baracche, Salani, 1975, El loco, Salani, 1979, E venne il Sabato, Gorée, 2005, postumo), ripubblicati insieme nel 2007 (Edizioni Gorée) arricchiti da un encomiabile apparato critico: Alberto Manzi, scrittore sudamericano di Antonio Melis (curatore del volume), Yo atendo. Conversazioni e riflessioni al ritorno in Sud America di Alberto Manzi, Ogni altro sono io di Andrea Canevaro, Cronologia della vita e delle opere e in chiusura circa 60 pagine che Manzi aveva epurato da E venne il Sabato.
Scrittore “sudamericano”
difensore dei diritti civili
Fortemente voluta da Antonio Melis, uno dei maggiori esperti italiani di letteratura e realtà peruviana, è una edizione formalmente corretta, che ci permette di leggere insieme la trilogia e rilevare la continuità e coerenza dei tre testi, in cui si intrecciano personaggi storici (Don Giulio Pianello, Don Rodas, Hernán, lo stesso Manzi – lo straniero -) con altri i cui profili non sono verificabili ma sicuramente sono specchio di quella realtà conosciuta da Manzi nei suoi molteplici viaggi. Possiamo leggere nei tre testi un ampliamento e approfondimento non solo della presenza e attività di Manzi, ma anche un crescendo, non solo banalmente in numero di pagine e capacità evocativa, ma in tre direzioni: da lotta individuale a lotta collettiva, approfondimento di tematiche e miti indigeni (che rinviano ai libri presenti nella biblioteca di Manzi: Arguedas, Scorza ecc.), da creazione a autoreferenzialità (l’ultimo è fortemente autobiografico e ‘lo straniero’, appena presente nei primi due, è ora uno dei protagonisti). In tutti i romanzi ci sono figure che incarnano la marginalità e la diversità – il loco (pazzo), il muto, la vecchia, la ragazza strana che rifiuta qualsiasi contatto con gli uomini, – spesso presenti con nomi diversi nei diversi testi, ma che risultano fondamentali nel processo di autocoscienza e crescita che porterà a una ribellione diffusa, oltre il singolo villaggio scenario dell’azione principale.
Tre opere narrative
per dar voce agli Ultimi
Altro fortissimo filo rosso che lega i tre romanzi – e la vita italiana con quella americana di Alberto Manzi – è il ruolo dell’apprendimento e alfabetizzazione per i gruppi disagiati e sfruttati: in La luna nelle baracche Pedro, detto el loco, che ha imparato a leggere con don Julio, è protagonista di tanti piccoli episodi di ribellione; el loco del secondo romanzo meraviglia tutti con la sua capacità di leggere e convince i bambini che leggere è necessario come mangiare (“Quando el loco finì tutto il libro di favole, attorno a lui c’erano, accoccolati, una decina di bambini. – Finito? – chiese Rafael. – Finito. Abbiamo mangiato insieme – rise el loco”); in E venne il sabato, già non sono i singoli a desiderare di apprendere, per capire i documenti prima di firmare, ma l’intera comunità che addirittura nel nuovo villaggio costruisce un’aula magna dove si applicano i principi pedagogici del Maestro: “In ogni posto, prima di ogni altra cosa, costruivano sempre la scuola, l’aula magna. Una scuola per tutti e di tutti, dove potevano scambiare impressioni e discutere. Harguendo un giorno [al commissario] aveva detto: «Lì discutiamo. E se io prima penso di avere ragione, discutendo scopro che anche gli altri hanno pezzetti di ragione. Così io cambio il mio pensiero, e anche gli altri cambiano pezzetti dei loro pensieri. Così cerchiamo di sapere la verità delle cose». Ecco il pericolo! Non era la solita scuola delle nozioni imparate a memoria, la scuola degli elenchi dei paesi e delle lunghezze dei fiumi o delle date degli avvenimenti. Non si curavano di questo, forse perché non lo sapevano. Ma imparavano a pensare. Discutendo.”
Una denuncia sul potere
che affama la povera gente
Libri di una intelligenza e passione senza pari, a cui io stessa dedicherò la mia attenzione… ma saranno necessarie pagine e pagine per trasmetterle ai lettori ancora digiuni, che non hanno ‘mangiato’ con el loco tanta poesia…
E nulla di meglio che concludere con le parole di Giulia Manzi in Un maestro nella foresta: “l’Alberto Manzi che andava a insegnare agli indios a leggere e a scrivere, che denunciava la violenza di un potere politico sulla povera gente, che rischiava la sua vita in nome dell’educazione e della dignità umana… quell’Alberto Manzi, lo conoscono in pochi. Sebbene non parlasse spesso personalmente delle sue peripezie sudamericane, esse vivono in forma romanzata nei suoi libri. Lì c’è davvero Alberto Manzi, quello che pochi hanno il coraggio di scoprire. Il suo pensiero, le sue idee e le denunce delle condizioni di un Paese considerato una «seconda patria» sono espressi nei suoi romanzi. Lì papà, nella figura dello straniero che appare nei vari libri, tratteggia la vita in Sudamerica: le condizioni di forte disagio in cui chi non può permettersi un’istruzione sopravvive”.